Zitta! Le parole per fare pace con la storia da cui veniamo A. Pellai, B. Tamborini – Letture da non perdere.

Zitta! Pellai, Tamborini Oscar Bestsellers

Esistono libri in cui ti perdi e ti riperdi per poi trovarti. Questo è sicuramente uno di quelli! Un viaggio nella mente e nel cuore, nelle emozioni e nella ri-elaborazione di eventi, momenti, situazioni di genitorialità. Zitta! di Alberto Pellai e Barbara Tamborini, Oscar Bestsellers Mondadori presenta le parole per fare pace con la storia da cui veniamo, ma soprattutto ci racconta in maniera precisa e efficace come il ruolo genitoriale sia una matrice che ci portiamo dietro nella nostra vita.

Ho amato questo libro, l’ho letto tre volte di fila per potermi assaporare ogni riga, sia della parte narrativa che di quella saggistica. E non solo perché usa uno dei termini a me più cari: consapevolezza; ma perché affronta importanti tematiche e aspetti intimi di ciascuno di noi con delicatezza e forza ben dosati, in un equilibrio che non permette al lettore di uscire senza una riflessione, ma che allo stesso tempo, lo accoglie in un luogo dove non è solo.

Durante le attività di team building e quando si lavora nella semantica aziendale capita spesso che la comunicazione evidenzi delle difficoltà interiori. Nel corso degli anni ho imparato ad ascoltare i silenzi, a sintonizzarmi sulle parole e a leggere in movimenti dicotomici rispetto al linguaggio ciò che si nasconde tra le pieghe di un’anima – troppo spesso – non colmata nei suoi bisogni emotivi. E questo volume è un vero e proprio timone che può portarci a riflettere in maniera ancora più consapevole nelle nostre relazioni.

Un volume quello di Pellai e Tamborini che ci porta a riflettere su di noi come genitori, come figli, ma anche come società consapevole che può e deve aspirare alla luce sempre. Ed ecco che la tematica della rabbia viene presentata in un susseguirsi di spunti che dai passaggi narrativi passano a quelli della saggistica per poi accompagnare ad un film consigliato come “A testa alta”, regia di Emmanuelle Bercot, 2015. Un’emozione che oggi, soprattutto con l’uso smodato dei social e la percezione errata di virtualità, deborda costantemente.